Pokemon: solo per bambini?

Molto spesso si sente parlare di gente che anche nelle scuole superiori o addirittura all'università gioca ancora a Pokémon. Persone che hanno raggiunto la maggiore età che continuano a portarsi un Nintendo DS, pur non giocandoci spesso per via della mancanza di tempo. Potreste avere come compagno di classe un allenatore di Pokémon senza saperlo, perchè magari non vuole esporsi per via delle derisioni. Ma questa gente finisce spesso a non riuscire o a non voler spiegare perchè continua a giocare ad un gioco considerato da tutti per bambini. Ed è proprio di questo che vi voglio parlare: non sarà per caso che questo gioco alla fine nasconde una componente segreta che un semplice bambino non capirebbe? Da cos'è nato questo stereotipo che impone che al di sopra dei 12 anni non si dovrebbe giocare a Pokémon? Forse un po' di storia ci aiuterà a capirlo.

Il Patto col Diavolo

Nel 1991, Satoshi Tajiri assieme ai suoi colleghi della GameFreak ebbe una visione: un RPG (Role-Playing Game, Gioco di Ruolo) nel quale era possibile scegliere una squadra di sei personaggi tra centocinquanta disponibili, ognuno con caratteristiche e poteri differenti e con la possibilità di essere scambiati e fatti lottare, grazie a quello che allora era il rivoluzionario Link Cable (il cavo per far comunicare due Game Boy). Con così tanta scelta a disposizione, finalmente sarebbe stato possibile lasciare da parte la componente RPG, per potersi concentrare sulle scelte migliori per la propria squadra e trasformare questo gioco in uno dei migliori giochi strategici a turni dopo Scacchi!

Pubblicando però il suo gioco su un sistema Nintendo (il Game Boy), la GameFreak avrebbe dovuto stipulare un contratto di proprietà con questa: Satoshi e la GameFreak avrebbero ottenuto tanti soldi per il concetto e la Nintendo si sarebbe occupata delle vendite e della pubblicità. Ma l'impensabile accadde e il gioco dei mostri collezionabili ottenne un successo tale da spingere la Nintendo ad avventurarsi anche oltreoceano. Le vendite non furono certo un problema, il fenomeno Pokemon fece il giro del mondo. Ma la Nintendo non riusciva a comprendere appieno tutte la potenzialità di un gioco del genere, e preferì basare il suo marketing su un cartone animato contradditorio, sui film, sulle figurine, sulle carte collezionabili e su qualsiasi cosa con logo "Pokémon" a cui si possa applicare un prezzo. Tanto da crearci un'azienda affiliata: The Pokémon Company.

Era chiaro che a questo punto la Nintendo non aveva più bisogno di seguire le idee della GameFreak. Finché Pokémon era una macchina per far soldi non c'era alcun problema. Dopotutto, quale miglior pollo da spennare se non il genitore dell'ingenuo, lamentoso e altamente convincente bimbo di otto anni che si ritrova come figlio?